mercoledì 28 marzo 2018

memoria

Caro diario,

ecoo un mio grande difetto, ma bada bene, non un vero e proprio difetto ma una condizione del corpo, della mente. Io non ho memoria. Ne ho ben poca, fatico a ricordare nomi, date e luoghi e spesso devo prendere appunti che inevitabilmente scorderò.
Così sono vittima, posso ben unsare questa parola senza arroganza, di una bizzarra maledizione.
Perchè invece, con altrettanta precisione, rammento esattamente il senso, evidente o nascosto, di quello che ho letto.
Dunque non posso citare alcunchè; e chi mai dovrei poi citare se non ne ricordo il nome. Potrei intrattenere interessanti conversazioni ma mi sono negate. Sarebbe veramente buffo: “come tale disse in quel romanzo con quel certo titolo”.
Eppure so esattamente cosa intendeva, quale fosse il suo stato d’animo, che messaggio era celato nello scritto. E lo stesso vale per le fotografie e le architetture.
Proprio oggi sono roso dall’impossibilità di ricordare il nome di un famoso fotografo, ho nei miei occhi la fotografia...ma no, ecco che appare un nome, forse c’è speranza.


martedì 6 febbraio 2018

le Città Oscure

Uno dei miei autori preferiti è Francois Schuiten.

Inizia a leggere le sue storie ancora adolescente e ricordo perfettamente l'emozione grandissima, lo stupore che provavo di fronte a quelle tavole, mirabilmente disegnate, ricche di architetture e dettagli. Un mondo, onirico forse, ma più che altro semplicemente diverso e utopico nel quale si muovevano le storie, fin troppo umane, dei protagonisti. Spesso coinvolti in bizzarre avventure.
In quel tempo e per molti anni a venire mi bastava fermarmi e ogni volta scoprire nuovi particolari e incredibili edifici. Incredibili? Ho usato una parola inesatta, poichè erano in realtà figli di tutto quello di buono che era stato costruito nel '900.
Inizialmente il fratello Luc, un architetto, ha collaborato con lui e dopo ha scritto il lungo ciclo delle "Citès Obscures" con il suo amico Benoît Peeters.



Che sia anche merito o colpa sua se oggi sono irresistibilmente attratto da ogni forma di architettura. Dalla più volgare e semplice alla più elitaria e complessa. Spesso ci penso.

Spesso penso alla città di "Urbicanda" e a come uno strano ponte, non un vero e proprio ponte ma comunque un collegamento, basti a ri-unire due città apparentemente divise nei sentimenti. Sullo sfondo un'architetture direi razionalista. Per me resterà sempre una storia simbolica e oltremodo chiara.

E "la Torre"! In cui si ascende e discende, esplorando una (torre di) Babele di meraviglie, architettoniche e non, guidati dal misterioso ingegnere, addetto al mantenimento, Giovanni Battista. Io resto fermo ogni volta che sfoglio una pagina, quasi timoroso di perdermi qualcosa.



Non ho letto tutte le storie né visitato tutte le sue città. Ma ho la guida. Un giorno partirò...

giovedì 11 gennaio 2018

natura morta con rifiuti

Cardo Diario,

tra le mille cose di cui vorrei parlare, privatamente, a me stesso fondamentalmente, scelgo i rifiuti.
I rifiuti di cui è ormai felicemente ricolma la capitale e che mi diverto a immortalare e a condividere.

Dunque oltre all'ovvia infinita produzione di gadgets che spesso sprechiamo e buttiamo per il solo fatto che possiamo acquistarli, e questo già dice molto rispetto al paradosso di una crisi economica potente che però non riesce ad intaccare la fonte del desiderio, mi interessa documentare un apparato produttivo ormai malato e malsano.

Malato perchè guidato da una bulimia assoluta che deve riempire ogni spazio, anche il più piccolo, di mercanzie che non saranno mai acquistate da nessuno, pure il solo fatto di essere e poter essere viste le qualifica come indispensabili.

Malsano perchè disturbante, fuori luogo. Ricordo cosa leggeva il capitano Willard a proposito delle azioni del colonnello Kurtz in Apocalipse Now, erano definite " malsane". Ecco, un mobile intonso accanto a un cassonetto è "malsano".

Ma c'è di più; spesso i rifiuti non sono tali, sono ancora integri e perfetti e sembrano rifiuti solo perchè si trovano in un cassonetto. C'è del valore, c'è un economia. Insomma i cassonetti, e questo mi provoca gioia ed entusiasmo, sono realmente l'equivalente di un negozio. Bisogna cambiare paradigma, perchè spendere se è già tutto a nostra disposizione gratuitamente?

Smetto con gli sproloqui, vado a fare un giro...

giovedì 21 dicembre 2017

stranezze


Caro Diario,
ho provato qualche giorno fa un bizzarro tipo di malessere, un disagio raro che non avrei creduto possibile. Ma bisogna che ti spieghi dal principio.
L’occasione era lieta, mi trovavo a visitare una delle più importanti fiere del libro di questo paese, in un luogo prestigioso e rinomato. Eppure fin da subito, sicuramente complice la gran massa di genti venute come me a curiosare, mi sembravo fuori posto, ignorante oltre ogni misura mentre ascoltavo i dotti discorsi degli editori su questo o quell’importante e significativo scrittore di cui io nulla sapevo; ma soprattutto mi risultava avversa la gran massa di libri ordinatamente impilati.

Chi mai li leggerà? Domanda assurda per un accumulatore di libri come me. Da dove veniva fuori quel maligno pensiero? Come osavo? Eppure non riuscivo a liberarmene mentre giravo ormai indifferente e attento al tempo stesso per i molteplici corridoi. C’era tutto e non sapevo che farmene.

Un riflesso dell’età forse, un’avversione ormai dichiarata verso il prossimo sicuramente, e infine il fastidio verso un mondo che produce incessantemente avendo già prodotto incessantemente.

Al termine però qualcosa ho trovato...



domenica 3 dicembre 2017

una panchina è per sempre

Ho una sorta di passione per le panchine, non saprei nemmeno spiegare il perchè ma le fotografo sempre, ovunque io vada. Questa si trova ad Arles, in Francia
Non comodissima e nemmeno situata in un luogo ameno, mi trovavo a camminare per la strada che conduce fuori dall' abitato.
Ma non devo divagare. 

Le panchine sono dei residui, abbandonate nei posti più impensabili come se le amministrazioni, non sapendo cosa fare con qualche soldo rimasto decidessero di dedicarlo al riposo dei contribuenti. Di legno, di marmo, di ferro, inamovibili o libere, spesso vuote.
Non c'è mai una vera ragione dietro una panchina. Sta la in attesa, a volte affacciandosi su panorami entusiasmanti, a volte su tangenziali rigonfie di autovetture. Se fossi preciso e meticoloso ne farei una raccolta da mettere su Flickr, o magari uno di quei pessimi libretti che si stampano on-line per la gioia di noi aspiranti fotografi. Potrei...ma ora vado a sedermi.

P.S. provo una sorta di ebbrezza a tornare a scrivere sul blog dopo così tanto tempo. Nessuno mi leggerà, è come un diario. Ma se qualcuno dovesse farlo, che sia comprensivo.

sabato 10 dicembre 2016

un problema legato all'età

Ieri sera abbiamo visto il secondo episodio della prima stagione di Black Mirror, la fiction inglese. Subito mi è venuto in mente Quinto Potere di Sidney Lumet, anche se la linea temporale è ribaltata.
Non mi è piaciuto molto, sono stato colto da una sensazione di deja vu, come se avessi già visto tutto lo svolgersi degli eventi. Una riflessione evidente sul potere dei desideri che ci vengono imposti e sui nostri sforzi per soddisfarli, quali che siano. Semplice, ma forse perfetta per chi oggi per la prima volta si pone tali domande.

Mi tornava alla memoria Videodrome di David Cronenberg e le sue riflessioni sulla realtà e sui cambiamenti, realmente fisici, che si generano nel nostro cervello e nel nostro corpo ormai assuefatto allo schermo televisivo.

Ma rieccheggiavano anche gli echi de L'uomo dei giochi a premio, il racconto di Richard Bachman (a.k.a. Stephen King) e de La lunga marcia, sempre dello stesso autore. In un'America devastata da una crisi lunghissima per sopravvivere è necessario mettersi letteralmente in gioco.

Onore al merito di una regia e di un interpretazione ottima; le fiction inglesi da sempre mi sembrano più convincenti di quelle americane. 

Queste idee e teorie sono state elaborate negli anni settanta, scritte e spiegate da sociologi e filosofi, da intellettuali al di sopra del dubbio, cristalline ed evidenti. Eppure nulla siamo riusciti a mettere in opera, sembriamo muoverci inconsapevoli e sordi, mossi solo da desideri irrefrenabili. Più ancora mi colpisce che chiunque ormai le condivide, sono dunque un patrimonio condiviso ma per nulla applicato. Sono diventate il fastidioso ronzio di sottofondo. 

"...va bene per un quindicenne..." dico alzandomi stancamente dal divano.

"Allora non ti è piaciuta perché sei vecchio?" risponde la mia dolce metà.


sabato 17 settembre 2016

Sul Perché

Come si resta incollati ad una musica, una canzone, senza più poterne uscire fuori. Un cupola che che ci isola da tutto, l'unico desiderio è di riascoltarla "ad libitum".
Non ho mai inteso come fosse possibile, non per le note che verranno a noia né per il testo che molto spesso  rivelerà semplice ed ingenuo.
Eppure in quel momento, che presto diverrà un fluire continuo, niente vi è di più simile alla nostra vita. Un concentrato di sensazioni, di emozioni, di paure, di follie e persino di normalità che fuoriescono dalla nostra "camera oscura" per andarsi a concentrare, un punto infinitesimo di pensieri a densità infinita, in quei pochi minuti.
E subito alla fine veniamo presi dall'ansia. Bisogna colmare un vuoto, uditivo più che emotivo ma forse il tutto si sovrappone.


Allora medito. 
I Bauhaus già nel nome mi evocano emozioni potenti. Un suono strascicato, lento, indeciso che avvolge un insieme di parole non troppo complesse.

"Houston, abbiamo un problema". Immediatamente Tom Hanks si affaccia nel mio cervello, ma sono gli anni ottanta e la luna è già distante, le utopie architettonice fallite e rimangono solo i decadenti scantinati berlinesi dove loro suonavano, avvolti dal fumo malsano di molteplici sigarette.

Vivrò più a lungo (e pioverà come argutamente mi fece notare Woody Allen) ma lo ricordo con affetto.

E qualche conclusione infine riesco ad agguantarla, ma la tengo per me...